Acufeni

La solitudine è una roba grossa, impegnativa. Difficile da gestire, delicata, sfuggente. Eppure non è cattiva, se impari a prenderla.

 

Sono figlia unica e quindi è una vita che ci provo. Da bambina inventavo di tutto, ma soprattutto leggevo e scrivevo storie. Da adolescente sono diventata scout e poi ho cercato disperatamente una persona fragile che volesse dividere ogni momento della vita con me.

Ne ho trovate tantissime, ma a tutte ho dovuto dire addio.

Da grande mi sono innamorata della solitudine: la trovavo elegante, pulita, spaziosa e onesta.

Ho forzato la mano, l’ho snaturata, mi sono venuta a noia.

Adesso non ci penso quasi più, ai minuti le ore e i giorni che passano in silenzio (c’è solo il ronzio degli acufeni). Quando me ne accorgo un po’ mi torna una paura ancestrale, quella di morire e che sia tutto finto e inutile, senza speranza.

Ma dura poco, come la vertigine quando ti alzi, perché mi vedo subito, tranquillamente, fluttuare altrove.

La solitudine è una grande porta che si apre su uno spazio di luce infinita. È sempre dietro l’angolo, inevitabile, indimenticata.

A volte mi sembra di vedere le porte degli altri. Alcuni le mascherano, le vestono a festa, le sigillano. Una volta avevo pena di loro, adesso, pur non stimandoli, li capisco.

Non tutti hanno il dono degli acufeni.